Cagna, cagna, sono una cagna.
Piango a
intermittenza tutto il giorno; nel rintronamento etilico non volevo
che Stefano si alzasse per andare a lavoro. Gli ho preso la mano e
cercavo di tirarlo giù – torna a letto...stai qua con me...-
- Dai, Sandra,
mi fai fare tardi-.- Per favore...-.
Si è liberato
della mia presa con uno strattone; volevo andargli a preparare il
caffè, ma non sono riuscita a raccogliere le forze per mettermi in
piedi. Mi sentivo le membra burrose incollate al materasso.
Cagna, cagna schifosa.
Ho perso la mia
innocenza nelle pieghe di un giorno qualunque. Mi è scivolata di
tasca a l'ho persa, così come si smarriscono accendini e forcine per
capelli. Piccoli oggetti che cacci distrattamente in borsa e che un
bel giorno spariscono, come inghiottiti misteriosamente da un buco
nero. E puoi frugare e ravanare e svuotare la borsetta finché vuoi;
semplicemente, non ci sono più.
Cagna. Cagna, sei.
Sono impantanata in
una melma di apatia. Riempio la vasca e mi faccio un bagno. Fisso la
deformata nudità rosea del mio corpo; sul pelo dell'acqua brillano
rivoli di sole. Mi ricordo di quando, da piccola, giocavo ad essere
la Sirenetta mentre mi lavavo. Ai tempi del liceo invece portavo lo
stereo in bagno e stavo a mollo ascoltando i Verdena e i Subsonica;
immaginavo come sarei stata da grande. Be', ora sono grande: bella
merda.
Rimango in acqua
finché la pelle delle dita non diventa incartapecorita, rugosa e
bianchiccia. Mi asciugo con calma, con molta calma, in slow motion
praticamente.
Bene, ora sono
vestita. In piedi in mezzo alla stanza a fissare lo specchio
appannato. Quindi?
Quindi?
TRRRRRRRRIIIIIIIIINN.
Quindi suonano al
campanello.
E' Marta. Marta che
si soffia il naso strombazzando. - Disturbo?-. Le sfugge un
singhiozzo.
La faccio entrare,
le preparo un tè. Mi racconta che con Federico va male, proprio
male, rischia di andare tutto a puttane, dice, e per nessun motivo in
particolare. - Sai, è un momento di stallo del cazzo,e non sai se
stai insieme per abitudine o perché c'è ancora qualcosa....
Ultimamente litighiamo per tutto, Cristo è snervante. Dico cose che
non penso per provocarlo, poi me ne pento, ma lui nel frattempo si è
incazzato....-. Sospira e beve un rumoroso sorso di tè. - Non so
come ci siamo entrati in questo tunnel e non so se ne usciremo...non
so cosa fare. Non ci riconosco più-.
Fissa
la tazza con la disperata impotenza di chi non riesce a credere che
la propria esistenza si sia trasformata in un cumulo di macerie, di
chi si ritrova intrappolato nel più nero degli incubi – e non c'è
risveglio che ti faccia scappare.
Io,
per quanto sinceramente dispiaciuta per lei, devo ammettere che non
riesco a concentrarmi del tutto su quello che dice. ( Cagna.
Brutta cagna). La ascolto, sento
le sue parole, ma non sempre riesco ad afferrarne il significato.
Sfiorano appena il mio timpano e scappano via come conigli impauriti;
poi metto a fuoco di nuovo e mi accorgo di aver perso dei pezzi.
-
Tipo, l'altra sera abbiamo avuto una discussione per una cretinata,
una cosa da nulla, potevamo benissimo evitare. Ma poi lui ha
cominciato a rinfacciarmi roba di mesi o anni fa, e 'sta cosa proprio
non la sopporto, e allora gli ho detto che è un passivo fatalista
del cazzo, perché non prende mai una decisione che sia una, si
lascia scivolare tutto addosso....-. Blablablablablablablablabla.
Rientro nel mio stato
catatonico, mi viene in mente che probabilmente il reggiseno sta
ancora nella borsa, mi riprendo d'un tratto dal mio stato di
narcolessia. Alzo gli occhi su Marta; mi
sento un po' cattiva per non riuscire a darle la mia completa
attenzione. Ma, cara, io non sto meglio di te.
Ora sta zitta; i
suoi occhi piangono, la pelle pallida è tirata sugli zigomi. Un
altro singhiozzo.D'improvviso provo profonda pietà per tutte e due,
per le nostre miserie. La abbraccio, lei si costringe a sorridere e,
in uno slancio di empatia, sono sul punto di raccontarle di Riccardo.
Ma mi trattengo: è una faccenda troppo, davvero troppo sporca. La
vergogna lega la lingua. Mi limito a tenerle la mano e a offrirle dei
biscotti.
- Dai....ti
lascio in pace, ti ho rubato anche troppo tempo-.- Ma va', cosa dici....le amiche servono a questo, no?-.
La realtà è che
mi aggrappo alla sua presenza perché il pensiero di rimanere sola mi
atterrisce. Oggi la mia persona mi disgusta, non so come farò a
trascorrere il resto della giornata in sua compagnia. Sono come un
bambino che vuole dormire con la luce accesa perché ha paura del
buio. D'altronde, la cosa peggiore che ti possa capitare è diventare
prigioniero del tuo stesso cervello: non esiste fortezza più
inespugnabile. E i miei carcerieri continuano a ridere e a darmi
della puttana.