giovedì 30 maggio 2013

PER UN PUGNO DI DOLLARI - parte III

Cagna, cagna, sono una cagna.
Piango a intermittenza tutto il giorno; nel rintronamento etilico non volevo che Stefano si alzasse per andare a lavoro. Gli ho preso la mano e cercavo di tirarlo giù – torna a letto...stai qua con me...-
- Dai, Sandra, mi fai fare tardi-.
- Per favore...-.
Si è liberato della mia presa con uno strattone; volevo andargli a preparare il caffè, ma non sono riuscita a raccogliere le forze per mettermi in piedi. Mi sentivo le membra burrose incollate al materasso.
Cagna, cagna schifosa.
Ho perso la mia innocenza nelle pieghe di un giorno qualunque. Mi è scivolata di tasca a l'ho persa, così come si smarriscono accendini e forcine per capelli. Piccoli oggetti che cacci distrattamente in borsa e che un bel giorno spariscono, come inghiottiti misteriosamente da un buco nero. E puoi frugare e ravanare e svuotare la borsetta finché vuoi; semplicemente, non ci sono più.
Cagna. Cagna, sei.
Sono impantanata in una melma di apatia. Riempio la vasca e mi faccio un bagno. Fisso la deformata nudità rosea del mio corpo; sul pelo dell'acqua brillano rivoli di sole. Mi ricordo di quando, da piccola, giocavo ad essere la Sirenetta mentre mi lavavo. Ai tempi del liceo invece portavo lo stereo in bagno e stavo a mollo ascoltando i Verdena e i Subsonica; immaginavo come sarei stata da grande. Be', ora sono grande: bella merda.
Rimango in acqua finché la pelle delle dita non diventa incartapecorita, rugosa e bianchiccia. Mi asciugo con calma, con molta calma, in slow motion praticamente.
Bene, ora sono vestita. In piedi in mezzo alla stanza a fissare lo specchio appannato. Quindi?


Quindi?



TRRRRRRRRIIIIIIIIINN.
Quindi suonano al campanello.
E' Marta. Marta che si soffia il naso strombazzando. - Disturbo?-. Le sfugge un singhiozzo.
La faccio entrare, le preparo un tè. Mi racconta che con Federico va male, proprio male, rischia di andare tutto a puttane, dice, e per nessun motivo in particolare. - Sai, è un momento di stallo del cazzo,e non sai se stai insieme per abitudine o perché c'è ancora qualcosa.... Ultimamente litighiamo per tutto, Cristo è snervante. Dico cose che non penso per provocarlo, poi me ne pento, ma lui nel frattempo si è incazzato....-. Sospira e beve un rumoroso sorso di tè. - Non so come ci siamo entrati in questo tunnel e non so se ne usciremo...non so cosa fare. Non ci riconosco più-.
Fissa la tazza con la disperata impotenza di chi non riesce a credere che la propria esistenza si sia trasformata in un cumulo di macerie, di chi si ritrova intrappolato nel più nero degli incubi – e non c'è risveglio che ti faccia scappare.
Io, per quanto sinceramente dispiaciuta per lei, devo ammettere che non riesco a concentrarmi del tutto su quello che dice. ( Cagna. Brutta cagna). La ascolto, sento le sue parole, ma non sempre riesco ad afferrarne il significato. Sfiorano appena il mio timpano e scappano via come conigli impauriti; poi metto a fuoco di nuovo e mi accorgo di aver perso dei pezzi.
- Tipo, l'altra sera abbiamo avuto una discussione per una cretinata, una cosa da nulla, potevamo benissimo evitare. Ma poi lui ha cominciato a rinfacciarmi roba di mesi o anni fa, e 'sta cosa proprio non la sopporto, e allora gli ho detto che è un passivo fatalista del cazzo, perché non prende mai una decisione che sia una, si lascia scivolare tutto addosso....-. Blablablablablablablablabla. Rientro nel mio stato catatonico, mi viene in mente che probabilmente il reggiseno sta ancora nella borsa, mi riprendo d'un tratto dal mio stato di narcolessia. Alzo gli occhi su Marta; mi sento un po' cattiva per non riuscire a darle la mia completa attenzione. Ma, cara, io non sto meglio di te.
Ora sta zitta; i suoi occhi piangono, la pelle pallida è tirata sugli zigomi. Un altro singhiozzo.D'improvviso provo profonda pietà per tutte e due, per le nostre miserie. La abbraccio, lei si costringe a sorridere e, in uno slancio di empatia, sono sul punto di raccontarle di Riccardo. Ma mi trattengo: è una faccenda troppo, davvero troppo sporca. La vergogna lega la lingua. Mi limito a tenerle la mano e a offrirle dei biscotti.
- Dai....ti lascio in pace, ti ho rubato anche troppo tempo-.
- Ma va', cosa dici....le amiche servono a questo, no?-.
La realtà è che mi aggrappo alla sua presenza perché il pensiero di rimanere sola mi atterrisce. Oggi la mia persona mi disgusta, non so come farò a trascorrere il resto della giornata in sua compagnia. Sono come un bambino che vuole dormire con la luce accesa perché ha paura del buio. D'altronde, la cosa peggiore che ti possa capitare è diventare prigioniero del tuo stesso cervello: non esiste fortezza più inespugnabile. E i miei carcerieri continuano a ridere e a darmi della puttana.