Un altro non-giorno. L'ennesimo martedì
o mercoledì o giovedì trascorso in uno stato larvale.
Il tempo è una mastodontica pietra di
Sisifo, la pesantezza delle mie palpebre.
Mi manca la voglia di fare qualsiasi
cosa; decido che la colpa è dell'angusta sciatteria del salotto
(stanza in cui attualmente mi trovo). Potrei dedicarmi a qualche
attività intellettualmente stimolante, ma il mio cervello si rifiuta
di impegnarsi. Il mio cervello desidererebbe essere stupido e poco
esigente, capace di trovare divertimento nei reality show e in
Candy Crush. Il mio cervello, se potesse, mi rigetterebbe.
Quindi fisso le macchie di luce sul
soffitto. Sono sdraiato sul divano. Sento l'aria che sbuffa dalle mie
narici;il ronzio del frigo; voci in strada che si avvicinano,
arrivano sotto il mio balcone e si allontanano. Sento la TV della
signora Belli; porte e portiere che si chiudono sbattendo;
scricchiolii non ben identificati. Il mondo pulsa, vibra, palpita. Io
mi dissocio. Sono immobilizzata nell'irreale consistenza del sofà.
Da qualche notte ho anche deciso di
smettere di dormire. Mi sono ribellato al mio inconscio, che mi stava
torturando con sogni estremamente molesti. Rigurgiti del passato, per
lo più. Vecchie cotte, amici persi di vista, la nonna, mio fratello;
ordine cronologico assente. Ambientazioni spaziali improbabili. Ma la
voce e le fattezze di ognuno di loro erano rievocati con una
precisione incredibili.
E poi lei.
Credevo di aver superato brillantemente
la fase della rimozione. Invece eccola che ricompare strisciando, a
tradimento, irrompe nella mia fase R.E.M. fulgida nella sua decadente
bellezza.
Mi dice le cose che avrei voluto
sentirle dire.
Ci tocchiamo di nuovo.
Una bruciante nostalgia perfora le
barriere dell'onirico e arriva nel reale. Mi si infila sotto le
unghie. La mattina poi mi risveglio turbato e irritato dalla mia
debolezza. Dalla cieca ostinazione del desiderio.
L'ultima volta che l'ho sognata (questo
è successo tre, quattro notti fa) la vividezza dell'illusione era
così intensa che, quando sono uscito dal sonno, ho scoperto di
essermi perfino eccitato. Se volessi essere signorile, direi che ne
sono rimasto alquanto turbato; ma la verità è che mi sono sentito
profondamente preso per il culo. Non so da chi – dalla mia
coscienza, dal mio subconscio, dal genio maligno cartesiano, dal
sonno della ragione che genera mostri. Ma quell'angoscia che mi
faceva bruciare le viscere si è aggiunta ai sensi di colpa e i
rimorsi, che mi si erano attaccati addosso come pidocchi; succede,
quando perdi qualcuno. Perché non puoi più rimediare ai tuoi
errori, e la consapevolezza di averne commessi ti si scarica addosso
insieme ai “se avessi fatto” e “se avessi detto”: una valanga
di merda. E io, lì sotto ad annaspare.
Ho passato gli ultimi giorni a pensare
che avrei voluto sdoppiarmi, autogenerare un mio clone e prendermi a
schiaffi (o farmi prendere a schiaffi): sentivo che me lo sarei
davvero meritato, e l'impossibilità di sopperire a questo bisogno mi
ha infastidito.
Allora ho tentato di compensare: sono
uscito fuori senza cappotto. Erano 2 °C. Non c'era sole.
Giudachefreddo. Ma non sono rientrato. Mi sono acceso tre sigarette
di fila. Mi sono rintronato di nicotina e ho lasciato che l'umido mi
penetrasse nelle ossa.
Mi rendo perfettamente conto questo mio
comportamento non cambierà le cose, ma è una (patetica) conseguenza
della mia incapacità ad accettare quello che è successo. Per buona
parte me ne imputo la colpa; in fondo la capisco se non vuole più
avere a che fare con me. Nemmeno io vorrei avere niente a che fare
con me.
E così me ne sto seduto ad osservare
la baraccopoli maleodorante e stercoraria della mia esistenza,
prendendomi a schiaffi e ruminando autocommiserazione. Di quando in
quando striscio nei quartieri alti a mendicare un altro corpo e
un'altra mente, ma non ho avuto fortuna finora. Allora mi arrendo, mi
sdraio e lascio che quei cani rognosi dei miei pensieri si avventino
sulla mia carcassa. Vitadimerda.
Riuscissi almeno a smettere di pensare
a quando lei era ancora qua; invece sono un cazzo di inetto e non ho
le energie per reagire. Fanculo a me. Continuo a fissare le
pozzanghere luminose sul soffitto. Ad ascoltare voci e rumori
lontani. A fluttuare nell'immobilità del salotto.
Credo uscirò a fumarmi un altro paio
di sigarette.
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