giovedì 13 febbraio 2014

GITA AL FARO

"Epure sotto il colore c'era la forma. Lei la vedeva tutta così chiara, imperiosa, a guardarla: solo, quando prendeva il pennello in mano, ogni cosa cambiava. Proprio in quel momentaneo volo tra la visione e la tela, ell'era assalita dai demoni che spesso la riducevano al punto di piangere e rendevano il passaggio dalla concezione al lavoro spaventoso come la tenebra per un bambino."

"Quanto era strana, pensò, la tendenza dello spirito umano a volgersi in solitudine verso le cose, le cose inanimate - alberi, torrenti, fiori-, come a forme d'espressione; col senso di d'assimilarle, d'esserne inteso, di farne parte; con un senso di tenerezza illogica (e guardò il lungo raggio fisso) al pari di quella che proviamo per noi stessi."

"Ella doveva aver avuto dei miraggi di felicità stando alla conca del bucato, oppure accanto ai suoi figli (due però erano illegittimi e uno l'aveva abbandonata), mentre beveva all'osteria, o rimescolava cianfrusaglie nei suoi cassetti. Vi doveva essere stato nel suo buio qualche spiraglio, nel profondo della sua tenebra qualche varco da cui era filtrata tanta luce da farle increspare la faccia a un sorriso davanti allo specchio e da permetterle di continuare il suo lavoro canterellando una canzone d'altri tempi."

"Gita al faro", Virginia Woolf

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